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martedì 27 settembre 2016

Il calendario di ottobre 2016
ovvero
ne uccide più la lingua che la spada

Dice la Bibbia “ne uccide più la lingua che la spada” (Siracide, 28:18), espressione diventata proverbiale. E’ proprio quello che è successo a quel delizioso uccellino che si chiama Upupa (Upupa epops). La lingua, nel suo caso, è quella insigne di Ugo Foscolo, che nel carme Dei Sepolcri le dedica questi versi non allegrissimi:

e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l'úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l'immonda accusar col luttüoso
singulto

A causa del Foscolo l’innocente uccellino (diurno, canterino, che vola come una farfalla) diventa notturno, immondo e portasfiga: una operazione mediatica tipo sbatti il mostro in prima pagina (non a caso il Foscolo, tra le molteplici attività cui dedicò la sua non lunga vita, fu anche giornalista).

E’ ben noto e verificabile tutti i giorni, in TV ma non solo, che gli intellettuali sono pieni di sé, anche (o soprattutto) quando raccontano - mi si consenta il termine tecnico - minchiate clamorose. Così il Foscolo, accusato dai naturalisti dell’epoca di averne scritta una un po’ troppo grossa sull’upupa, si difese in modo quanto mai arrogante “duolmi ad ogni modo che io abbia con quell'immondo animale aperta l'opportunità a dubitare” (ovvero, in lingua contemporanea: “mi era venuto il dubbio, ma l’upupa è talmente immonda che mi rifiuto perfino di dubitare”).

D’altra parte allora come oggi la stampa tende ad allinearsi sul “politicamente corretto” (ovvero sull’opinione dei potenti e famosi): anche Byron (altro avventuriero morto giovane), dice della nostra bestiola, nel poema Il Giaurro:

usurpatrice alberga
l’infausta upùpa

Non di meno il Parini*, che di Foscolo fu, se non amico, almeno buon conoscente, declama ne La notte:

E upupe e gufi e mostri avversi al sole
Svolazzavan per essa; e con ferali
Stridi portavan miserandi augurj

Perfino letterati minori fecero propria l’opinione del foscolo. Il misconosciuto Bartolomeo Sestini scrive nella sua Pia de’ Tolomei:

… chiama un estinto
L'Upupa immonda in luttuoso metro

e lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, in viaggio in Sicilia, annota “intanto era calata la notte profonda” e “il terribile silenzio” era “interrotto dal malinconico grido dell’upupa”.

Come per tutte le riabilitazioni, occorre aspettare un centinaio d’anni perché all’upupa venga resa giustizia, e lo fa Eugenio Montale (nella foto) in una delicata poesia, scritta probabilmente nel 1924 e successivamente raccolta negli Ossi di seppia, che ribalta la sentenza:

Upupa, ilare uccello calunniato
dai poeti, che roti la tua cresta
sopra l'aereo stollo del pollaio
e come un finto gallo giri al vento;
nunzio primaverile, upupa, come
per te il tempo s'arresta,
non muore più il Febbraio,
come tutto di fuori si protende
al muover del tuo capo,
aligero folletto, e tu lo ignori.

Era ora!

Se vogliamo dirla tutta, un po’ di ragione i detrattori dell’upupa forse l’avevano. Magari non porta sfortuna, ma è una che si vendica: Ugo Foscolo visse male e morì prima dei cinquant’anni, Byron morì a 36 anni, il Sestini della Pia de’ Tolomei morì a 30 anni, Gregorovius (poiché tra i critici fu il meno velenoso) campò 70 anni, il Parini morì a 70 anni, ma le sue ossa furono disperse e ora giacciono insieme a quelle di qualche brigante. Il buon Montale, viceversa, visse sereno fino a 85 anni, ebbe l’onore dei funerali nel Duomo di Milano e il suo corpo riposa tranquillo in quel di Firenze.

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* probabilmente Parini odiava anche i cani (si rilegga l’episodio della “vergine cuccia” dove un servo viene licenziato e ridotto a mendicare - Cometa direbbe: ben fatto! - per aver preso a calci una cagnolina)

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