Il calendario di ottobre 2017
I cinghiali in Italia ci sono sempre stati e fino alla fine dell’800 hanno costituito un essenziale contributo alimentare alla vita dell’uomo. Al giorno d’oggi la sopravvivenza umana è stata resa indipendente dalla necessità di andare per i boschi a procacciarsi le prede (e ad esporsi al rischio che le prede non siano d’accordo) ma i cinghiali in Italia sono oggi più numerosi che mai: si stima che ve ne siano un milione. Una popolazione tanto grande da rendere la convivenza con l’uomo problematica: raccolti distrutti, incidenti stradali, cani domestici sventrati. Tutti eventi dannosi che hanno una precisa responsabilità: ancora una volta, la pratica assurda e patologica della caccia!
Il cinghiale italiano originario, quello che Seneca cita nella headline del nostro calendario e che ha potuto sopravvivere fino alla fine dell’800, era piccolo (50 cm. al garrese, meno di 50 kg. di peso) agile e poco prolifico. Non mettiamo in dubbio che riuscire a portarne uno a casa significasse non solo la possibilità di dar da mangiare alla famiglia, ma anche motivo di orgoglio per il cacciatore, che combatteva con l’animale quasi ad armi pari, a rischio della propria vita (anche perché doveva competere con altri temibili predatori di cinghiali, soprattutto lupi). Così era ai bei tempi in cui ci si doveva guadagnare il cibo giorno per giorno e non sapevi se domani avresti potuto continuare a far mangiare i tuoi figli. Quindi lupi e cacciatori per necessità mantenevano le due popolazioni in perfetto equilibrio.
Quel cinghiale ormai non esiste più, salvo in qualche area della Sardegna e in rarissime zone della Toscana. I cinghiali italiani odierni sono molto più grandi e molto più prolifici, perché gli stolti cacciatori hanno importato, per poter avere più vittime su cui esercitare la loro criminale passione, esemplari dall’Europa dell’est e hanno lasciato che si incrociassero col cinghiale autoctono. Questi nuovi cinghiali italiani sono animali grandi (talvolta oltre i 200 kg) che si riproducono tre volte di più di quelli di un tempo; inoltre si sono accoppiati con i maiali domestici, moltiplicandosi ulteriormente. La caccia spietata all’unico vero predatore naturale, il lupo, che negli anni ’70 contava solo un centinaio di esemplari, ha completato l’opera.
Risultato? Una popolazione immensa, che spoglia i terreni, causa incidenti e si spinge in cerca di cibo anche nei centri abitati, contro la quale anche i tecnici si riconoscono impotenti ma che consente ai politici regionali - che in genere si piegano servili alle istanze dei cacciatori (si sa: sono voti, e i cacciatori appartengono a tutti i partiti) - di predisporre continui piani di abbattimento; e ogni tanto viene ventilata perfino la possibilità di aprire alla caccia anche le aree protette.
Secondo gli esperti, e non possiamo dubitarne*, l’unica “soluzione ecologica” del problema consiste nello sviluppo della popolazione dei predatori naturali dei cinghiali, quella del lupo. Il cinghiale è alla base dell’alimentazione del lupo, che lo preferisce a qualunque altra preda. Essendo di taglia più piccola, il lupo assale in branco e predilige gli esemplari giovani, subadulti e porcastri (cioè incroci di cinghiali e maiali); è quindi chiaro che anche un numero limitato di lupi ha conseguenze importanti su una grande popolazione di cinghiali.
Dagli anni ’70 il numero dei lupi è aumentato significativamente per effetto del progetto europeo Life Wolfalps: un recente studio dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA) ne valuta la consistenza tra 1500 e 2000 esemplari, con tendenza alla crescita**. A chi obiettasse che anche i lupi sono causa di problemi si risponderà, statistiche alla mano, che il valore dei danni causati dal cinghiale è incredibilmente maggiore di quello dei danni prodotti dal lupo, e che spesso vengono attribuiti al lupo colpe del cinghiale.
In qualche anno le due popolazioni dovrebbero tornare in equilibrio, ma non possiamo che augurarci che nel frattempo i nostri politici non continuino a far favori ai cacciatori.
__________________________________ * cfr il paper “What does the wild boar mean to the wolf?” pubblicato sull’European Journal of Wildlife Research da un team del Dipartimento Scienze della Vita dell’università di Siena ** lo studio si riferisce al periodo 2009-2013 e mostra un raddoppiamento della popolazione rispetto a un analogo studio del 2006-2011. Peraltro la distribuzione attuale della popolazione di lupi è molto differenziata tra il territorio alpino (dove sono ancora in numero limitato) e quella dell’Appennino centro-meridionale |