Il calendario di luglio 2019 I GATTI NELL'ARTE - prima parte
Qualche mese fa abbiamo dedicato un calendario al ruolo dei cani nella produzione artistica. Per un’ovvia questione di parità di diritti non possiamo ignorare l’importanza che anche i gatti hanno avuto nella storia dell’arte.
L’estetica dei due animali non procede parallela, in virtù del fatto che il rapporto che cani e gatti hanno avuto con l’uomo non si è evoluto in modo simile. lI cane venne domesticato per essere d’aiuto all’uomo 12.000 anni fa (forse anche molto prima) a partire da un progenitore comune del cane e del lupo, poi fu più volte ibridato allo scopo di ottenere razze diverse a seconda della destinazione (cani da guardia, da pastore, da caccia, e via dicendo). Viceversa il gatto si è avvicinato all’uomo spontaneamente, probabilmente all’inizio dell’agricoltura quando l’immagazzinamento del grano ha attirato moltitudini di topi e ratti che a loro volta hanno richiamato i gatti, loro predatori già allo stato di natura. Tuttavia è probabile che il ruolo del gatto come animale da compagnia preceda quella del cane: in questa veste fu celebrato in Cina, in India, in Persia e in generale in tutto il continente asiatico.
Come conseguenza del differente sviluppo del rapporto di questi due animali con l’uomo la rappresentazione del cane e del gatto si differenzia molto già in età antica. In particolare il ruolo del gatto come difensore delle riserve di cibo portò alla sua divinizzazione nell’antico Egitto, dove Bastet, originariamente divinità guerriera dalla testa di leone, perse a poco a poco i suoi connotati feroci diventando una figura protettiva largamente amata dal popolo e prendendo le sembianze del gatto. A partire dal 1.550 a.C. l’arte egizia viene invasa da questi felini di cui ci restano una quantità di icone e di mummie. Dall’Egitto il gatto si diffuse in tutto il Mediterraneo, soprattutto in Grecia e a Roma, dove per la caccia ai roditori che infestavano i granai venivano utilizzati furetti e donnole (curiosità: i primi gatti esportati in Grecia erano probabilmente stati rubati in Egitto da mercanti fenici). A partire dalle coste il gatto occupò tutto il continente europeo, diventando spesso animale da affezione*. Un ulteriore contributo alla celebrità del gatto, sempre di origine africana, perviene dall’Islam, quando il profeta Maometto fu salvato da un morso di serpente da una gatta soriana, Muezza, che poi restò con lui (è la ragione per cui i gatto è l’unico animale ad essere ammesso nelle moschee).
Ma proprio il culto degli antichi fece sì che il gatto sparisse nell’arte europea dal Medioevo fino al Rinascimento perché considerato dalla Chiesa elemento pagano e di conseguenza simbolo demoniaco, strettamente connesso con la stregoneria, sicché le poche rappresentazioni artistiche di questo periodo lo presentano con un’aria sinistra, come nell’Ultima Cena di Jacopo da Bassano, dove un gattaccio si struscia ai piedi di Giuda, come nel manoscritto di Vincent di Beauvais, dove San Domenico parla alle donne mentre un demone in forma di gatto nero si arrampica sulla corda di una forca; o al più come crudele cacciatore come il gatto che appare nel pannello di sinistra del Giardino dell’Eden di Hieronymus Bosh. L’ideologia cristiana fu dunque vittoriosa sull’utilità del piccolo animale, che venne quasi sterminato, a tal punto che alcuni studiosi attribuiscono alla sua scomparsa dal mondo medioevale il proliferare dei topi e le conseguenti pestilenze che travagliarono tutta l’Europa in quei secoli.
Ovviamente c’è una morale in questa storia: per dirla con la voce di un artista: “Il sonno della ragione genera mostri”, come si intitola un’acquaforte di Francisco Goya.
____________________________________
* per ricordare una testimonianza tra le molte, nel 10 a.C., dettando le sue memorie, l’imperatore Augusto disse della sua gatta “La mia gatta dal pelo lungo e dagli occhi gialli, la più intima amica della mia vecchiaia, il cui amore per me è sgombro da pensieri possessivi, che non accetta obblighi più del dovuto ... non mi chiede più di quello che sono felice di dare … Com’è nobile e indipendente il suo spirito” |