Il calendario di gennaio 2020
Uno dei mammiferi che più volentieri frequenta l’ambiente dell’uomo, condividendone abitazione e alimentazione, è il topo.
Nella vita di ogni giorno molti di noi - soprattutto coloro che ne sono terrorizzati - non fanno distinzione tra le varie specie di roditori che indichiamo genericamente come topi. In realtà tra i topi che possiamo incontrare nella quotidianità, alle nostre latitudini, esistono almeno quattro specie diverse: il ratto nero (Rattus rattus), il ratto grigio (Rattus norvegicus), il topo propriamente detto (Mus musculus) e il toporagno (Sorex araneus). La popolazione complessiva di questi roditori è certamente molto superiore a quella dell’uomo.
Il ratto nero è una delle specie più invasive, ma - almeno in Europa, a partire dal medioevo - viene progressivamente soppiantato dal più grande ratto grigio. Quest’ultimo è ritenuto la specie animale di maggior successo dopo l’uomo: è onnivoro, non forma coppie stabili, si riproduce durante tutto l’anno e la femmina ha una gestazione breve (24 giorni) dopo la quale partorisce da tre a quindici cuccioli e a 18 ore dal parto può essere di nuovo ingravidata; i piccoli non possiedono marcatori famigliari, quindi ogni femmina nutre di buon grado anche pargoli non suoi; in tre mesi i maschi sono sessualmente maturi. In più il ratto possiede un sistema di comunicazione altamente evoluto, fatto di segnali sonori (squittii), chimici e posture corporali ed è capace di efficaci tecniche di trasmissione culturale ai propri discendenti. Il ratto ha una memoria molto sviluppata e possiede una caratteristica che condivide con animali più evoluti (primati e delfini): la “percezione di sé”, ovvero la capacità di riflettere sul proprio stato mentale e quindi di dirigere i processi di apprendimento (caratteristica nota come metacognizione).
Siamo sinceri: nonostante tutte queste virtù - o forse a causa di esse - in occidente ratti e topi non godono di grande popolarità. La paura di questi animaletti è talmente diffusa da essere considerata una vera e propria malattia, con tanto di nome (musofobia o muridofobia).
A differenza della altrettanto diffusa paura dei cani, di solito basata su una esperienza personale negativa pregressa, diversamente dalla paura dei serpenti, di origine chiaramente simbolica, la paura dei topi sembra avere una genesi storica collettiva che risale al medioevo, quando un’epidemia di peste in meno di dieci anni - approssimativamente dal 1347, quando arrivò in Grecia dall’oriente, fino al 1353, quando si spensero gli ultimi focolai - uccise 20 milioni di abitanti dell’Europa, ovvero un terzo della popolazione di allora*.
Non era la prima né fu l’ultima epidemia a colpire il continente, ma la “Morte nera” fu certamente quella che lasciò il maggior segno nel ricordo delle popolazioni, che ne attribuirono la responsabilità ai topi**. La peste nera fu un fenomeno talmente sconvolgente da aver impregnato di sé le cronache dell’epoca e la produzione artistica (si pensi al Decamerone o alle “Danze macabre” trecentesche che possiamo ancora vedere nelle nostre chiese più antiche). Ma soprattutto determinò una trasformazione economica: la riduzione della popolazione rese più abbondanti le risorse a coloro che erano sopravvissuti, impose l’occupazione completa della popolazione e - quando la forza lavoro non bastava - il ricorso alla meccanizzazione; in altre parole aprì la strada al rinascimento e fece muovere i primi passi alla rivoluzione industriale.
La colpa era tutta dei topi? certamente no: i ratti portatori del morbo non si diffusero così rapidamente da giustificare l’ampiezza e la velocità della pestilenza. Furono sopratutto gli scambi commerciali a diffondere l’epidemia, che si abbatté su una popolazione debole e malnutrita, sempre più concentrata nelle grandi città dell’epoca a causa del peggioramento del clima (il periodo caldo degli anni 1000-1200 stava lasciando il posto alla cosiddetta “piccola era glaciale” che a partire dal 1300 causò una carestia che già da sola uccise il 5% della popolazione).
Studi contemporanei assolvono i ratti attribuendo il vettore della pestilenza non alla pulce del ratto ma al pidocchio umano: la peste si sarebbe dunque trasmessa direttamente da persona a persona. Questo è il risultato di un recente studio congiunto tra le Università di Oslo e Ferrara, che comincia a essere ampiamente condiviso da molti epidemiologi.
Per finire diremo ancora che la diffidenza della cultura occidentale verso i ratti non è condivisa in Oriente: il ratto è il primo animale dello zodiaco cinese e - nel mondo induista - i ratti sono considerati come reincarnazione dei Sadhu, i santi degli Indu. Ma anche da noi le cose stanno cambiando: soprattutto nelle famiglie inglesi sono assai numerosi i ratti da compagnia (chiamati fancy rats): sono intelligenti, affettuosi, coccoloni, giocosi, disposti ad imparare, rispondono al loro nome.
Il 1mo gennaio comincia il nostro anno 2020, il 25 gennaio inizia in Cina l’anno 4717, non a caso un Anno del Topo.
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* si tratta di una stima ottimista. Altri storici indicano il numero dei morti in 50 milioni, 2/3 della popolazione ** per essere precisi ai ratti neri, presenti sul continente a partire dall’anno 1000. Viceversa i ratti grigi arrivarono in Europa solo nel tardo medioevo
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