Il calendario di febbraio 2021
L'intelligenza delle piante
Nel nostro piccolo tentativo di allargare l’orizzonte dell’animalismo nella direzione di un più vasto sentimento che coinvolga tutta la Natura abbiamo dedicato qualcuno dei nostri calendari alle piante. Non è certo questa la sede per magnificare fiori, prati e boschi - questione sulla quale penso saremo tutti d’accordo - ma vorremmo piuttosto convincere i nostri Amici che gli esseri vegetali non sono per nulla inferiori agli altri esseri viventi* ma per certi versi sono superiori, più abili, più sensibili e in certa misura più intelligenti.
Il fatto è che “gli uomini sono completamente ciechi alla vita vegetale” (Stefano Mancuso**). Quando qualcuno ci mostra un animale, per quanto piccolo, su uno sfondo costituito da piante, alla domanda “cosa vedi?” risponderemo invariabilmente indicando l’animale, e mai indicando le piante. Il motivo è che, nel corso dell’evoluzione, le piante non sono mai state percepite come un pericolo: il cervello umano ha imparato a non guardarle. Il fenomeno, suffragato da molteplici esperimenti, è noto col nome di plant blindness. In effetti, che pericolo può provenire all’uomo da un organismo che non può muoversi e che si sviluppa con tempi apparentemente lontani da quelli della vita animale?
Ma proprio questo elemento, ovvero la scelta - fatta seicento milioni di anni fa, quando i primi organismi sono usciti dal mare e i primi animali si sono messi a strisciare, correre e volare - di una strategia diversa dal movimento, ha condotto le piante a soluzioni evolutive ignorate dagli altri esseri viventi: non posso fuggire, eppure devo difendermi in qualche modo; non posso andare in cerca di cibo, eppure devo nutrirmi in qualche modo; non posso andarmi a cercare un partner eppure devo riprodurmi in qualche modo.
La pianta non ha occhi né orecchie, eppure non solo vede e sente, ma - secondo gli studi più recenti - ha una quantità di sensi nettamente superiore a quelli degli animali: riesce a sopravvivere perché è in grado di percepire e analizzare con estrema sensibilità una quantità di parametri chimici e fisici: luce, gravità, umidità, temperatura, composizione dell’atmosfera e del terreno e così via; e ancora: vicinanza o lontananza dalle altre piante, la loro identità, la presenza di predatori o patogeni.
Stimoli multiformi, sovrapposti l’uno all’altro, che ogni singola pianta non smette di registrare e ai quali risponde sempre in modo individuale. E ci riesce perché la pianta non ha organi “dedicati” come il cervello, il cuore o i polmoni e via dicendo. Sono proprio questi organi, che sembrano il punto di forza della vita animale, a essere il punto debole dell’organismo vivente che la pianta ha saputo dimenticare: una lesione del cervello o del cuore o dei polmoni o di altri organi uccide l’animale; un albero, che di tutto ciò è privo, ricresce senza problemi dal proprio tronco gravemente menomato. Perché la strategia evolutiva della pianta, anziché concentrare funzioni specifiche su alcuni organi, le ha distribuite - in misura ovviamente diversa - su tutto il proprio corpo, perseguendo quel fattore di ridondanza che è il segreto della sua vita. Ma non basta: l’apparato radicale della pianta agisce come un’intelligenza diffusa***, dove ogni singolo apice della radice costituisce un centro decisionale separato (vado di qui o di là? qui c’è sufficiente acqua? qui c’è del nutrimento? …) che comunica istantaneamente a tutti gli altri le scelte fatte (il fenomeno, che è presente nelle formiche e nelle termiti, prende il nome di stigmergia). Quindi il comportamento globale della pianta è determinato “democraticamente” dal comportamento individuale e volontario delle sue parti.
Si potrebbe continuare ancora a lungo nel decantare le abilità dei vegetali (abilità che spiegano come questi organismi siano riusciti, nonostante l’indifferenza umana, a occupare oltre il 95% - per alcuni il 99% - della biomassa). Qui ricorderemo solo alcuni grandi successi delle piante: la loro capacità di stringere alleanze con animali, ad esempio per garantirsi la dispersione dei semi, la capacità mimetica, ovvero di assumere caratteri di altre specie per assicurarsi la massima diffusione, la capacità di memorizzare eventi. Ma l’abilità più interessante, dal punto di vista degli animali, è la fotosintesi, ovvero la capacità delle piante di produrre sostanze organiche a partire dall’anidride carbonica e dalla luce solare, senza la quale non sarebbe possibile la vita animale. “Esse rivestono il ruolo di mediatori fra il sole e il mondo animale” (Stefano Mancuso). E, sempre nel nostro interesse, non trascuriamo il fatto che la massima quantità dei farmaci hanno origine vegetale.
Quindi pensiamoci bene: quando un sindaco decide di rendere residenziale un’area a bosco, quando un geometra propone di abbattere gli alberi che impediscono il panorama alla villetta, si preparano a un vero e proprio assassinio, né più né meno che se uccidessero un cane, un cavallo o un essere umano. Un assassinio che resterà impunito
_________________________________ * dobbiamo ad Aristotele la calunnia che l’anima delle piante è inferiore a quella degli animali e a quella dell’uomo. Non ostante il suo parere, nell’antichità classica molte piante erano venerate, ma la Chiesa si impadronì della teoria aristotelica, provocando un danno che stiamo pagando ancora oggi ** il professor Stefano Mancuso è il fondatore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, probabilmente il centro più avanzato per lo studio del comportamento delle piante. Accanto a una quantità di saggi scientifici, Mancuso ha pubblicato molti libri divulgativi, benché rigorosi, sull’intelligenza vegetale. A chi non lo conoscesse raccomandiamo uno degli ultimi volumi: Plant revolution - Le piante hanno già inventato il nostro futuro, Giunti Editore *** ecco perché la pratica del bonsai è quanto mai crudele: nell’uomo equivarrebbe a tagliare le terminazioni nervose
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