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venerdì 30 aprile 2021

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Hieronymus Bosch: Bestiae et Homines

Fino dalla preistoria gli animali sono stati soggetto di rappresentazione artistica: erano fonte di nutrimento e le scene di caccia venivano immortalate nei graffiti per celebrare la gloria della tribù; poi cominciarono ad essere allevati e usati in agricoltura, la loro utilità si estese all’aiuto che davano col loro lavoro; talvolta si volle vedere in alcuni di essi una divinità. Così gli artisti trovavano sempre più ragioni per perpetuarne l’immagine.

Con l’avvento e la diffusione del Cristianesimo, accanto al valore allegorico già presente nella tradizione biblica e nella classicità mediterranea, gli animali acquisiscono sempre più un significato didascalico: da alcuni di essi (il bue, l’ape, gli uccelli, …) si devono apprendere virtù, altri (il serpente, soprattutto) manifestano peccati da cui rifuggire; non mancano le ambiguità: la civetta è simbolo di saggezza, ma è anche legata all’oscurità e alla stregoneria. Il Medioevo e il suo animalismo morale si trascinano fino alla fine del ‘400, quando  il Rinascimento comincia a irrompere sul versante della produzione artistica: la pesante simbologia gotica entra in contrasto con le istanze che pongono l’Uomo e la Ragione al centro dell’interesse; è un periodo confuso e contraddittorio, Erasmo da Rotterdam da alla stampa l’ “Elogio della follia” (36 edizioni durante la vita dell’autore!) leggero e profondo, polemico e divertente, un cardine della trasformazione culturale in atto.

Verso la fine del ‘400 è attivo nei Paesi Bassi un grande professionista: si chiama Hieronymus Bosch, è nato nel 1453 e sta a bottega con il padre e i fratelli, tutti che si guadagnano onestamente la vita con pale d’altare, arredi sacri, quadri per ornare le case dei nobili e della emergente borghesia. Il buon Hieronymus non può sfuggire allo scontro culturale in atto, possiamo perfino immaginare che sia un innovatore, che voglia realizzare quadri meno gotici e più rinascimentali, ma sa che avrebbe difficoltà a conservarsi la clientela. Allora concepisce un’idea degna dell’elogio della follia: fondere la simbologia gotica con l’estetica rinascimentale, produrre quadri affollati di vita e di morte, di colpe e di assoluzioni, dove tuttavia i simboli trascendono il loro valore per tornare a identificarsi con l’immagine in sé, un vero divertissement. Sono opere simultaneamente cupe e lievi, che proprio per la loro ambigua collocazione a cavallo tra Medioevo e Rinascimento non potranno non essere accettate dal suo pubblico. Hieronymus ci regala così alcuni quadri tra i più meravigliosi della storia dell’arte.

Abbandonato il messaggio morale, gli animali di Hieronymus perdono il valore allegorico, popolano la scena con furore, la condividono con un’umanità condannata ma emergente, con la quale si fondono, di fatto anticipando di cinque secoli il surrealismo (“Surreale è la realtà che non è stata separata dal suo mistero” come scrive René Magritte), diventano personaggi del dramma del morente Medioevo* e ci piace pensare che l’incredibile dettaglio delle opere di Bosch abbia come fine proprio quello di testimoniare al suo pubblico il mutamento dei tempi.

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* per approfondire le molteplici interpretazioni del capolavoro di Hieronymus Bosch, “Il giardino delle delizie” si può consultare l’ottimo articolo https://www.milanoplatinum.com/hieronymus-bosch-e-il-bestiario-della-follia.html

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