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mercoledì 1 marzo 2023

Il calendario di marzo 2023

Ogni paesaggio è un paesaggio interiore

Uno degli elementi che compaiono nello statuto della nostra Associazione è la difesa del paesaggio. L’Enciclopedia Treccani definisce il paesaggio come “l’aspetto con cui si presenta una parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un determinato punto”, ciò che rende il paesaggio sinonimo di panorama. In altre parole tutto quanto vediamo è paesaggio, il paesaggio è dovunque. Come possiamo allora individuare quali paesaggi occorre difendere? Ci aiuta la Convenzione Europea sul Paesaggio (anno 2000) quando afferma che “il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale”, benché questa formulazione sia piuttosto ambigua, perché pone sullo stesso piano l'aspetto individuale e quello collettivo; poco più avanti lo stesso documento dichiara che l'obiettivo della qualità paesaggistica è legato alle "aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro contesto di vita", espressione dove il benessere individuale scompare.

Tuttavia, come suggeriscono i ricercatori Costa e Ricci Bitti nel loro articolo "Aspetti psicologici nella valutazione estetica del paesaggio" (2015): “Il paesaggio è innanzitutto importante perché è oggetto di attaccamento [emotivo], ovvero perché contribuisce allo sviluppo identitario dell'individuo, alla formazione del sé. Ogni paesaggio appartiene quindi al senso di benessere soggettivo, pur potendo restare del tutto privo di valore estetico e di assoluto disinteresse collettivo*. L'elemento fondamentale che emerge da questa accezione è quello del paesaggio come memoria individuale. Il panorama della via Gluck prima e dopo la celebrazione di Adriano Celentano era e resta banale (prima: una casa isolata in periferia, dopo: "case su case, catrame e cemento"), ma non è certo banale nella memoria dell'artista. La tesi di questo nostro calendario è che il panorama che ciascuno di noi deve proteggere è proprio quello della memoria, il paesaggio interiore, quello che magari non esiste (o non esiste più o non è mai esistito) ma che ognuno di noi costruisce come somma delle sue esperienze visive legate allo svolgersi delle emozioni.

Una poesia di JL Borges, L'artefice, 1960, recita:

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo.
Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini
di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, di isole,
di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di
persone. Poco prima di morire, scopre che
quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.

Questo approccio così straordinariamente individuale, il paesaggio come proiezione del sé, nega forse il valore estetico del paesaggio e la possibilità di renderlo fruibile a soggetti diversi dal suo costruttore? Assolutamente no, intanto perché esiste una molteplicità di enti nazionali e supernazionali che si occupano dei processi di catalogazione, selezione e conservazione del paesaggio**, ma soprattutto perché riconduce il rapporto esclusivo col paesaggio alla possibilità della rappresentazione artistica, l'unica in grado di proteggere e vitalizzare il paesaggio cancellato o mai esistito.

Ci spieghiamo con un esempio: quando un palazzinaro copre un ameno scenario agreste con una selva di condomìni sostituisce semplicemente un paesaggio nuovo a uno precedente. Se poi un evento bellico (sta tornando di moda) distrugge i condomìni, le loro macerie continuano a essere un paesaggio. Il primo di essi, prima di essere occultato dal cemento, potrebbe aver avuto quel valore estetico socialmente fruibile e "generalizzabile" nella galleria dell'UNESCO. Il secondo, i palazzoni, si conserverà nel ricordo da chi da ragazzo vi ha vissuto (la famiglia, gli amici, le marachelle, i primi amori, ...). Il terzo, le macerie, potrebbe entrare a far parte del panorama emotivo di chi ha assistito ai bombardamenti***. E ognuno di questi paesaggi è altrettanto valido nella memoria e, se è il caso, merita di essere comunicato, insieme al coacervo di ricordi ed emozioni che gli sono legati, ovvero di diventare protagonista di un atto creativo.

In sintesi, il processo di conservazione in cui la nostra Associazione è coinvolta assume due aspetti: (1) la denuncia del deterioramento dei beni di valore estetico riconosciuti dalla collettività; e (2) il trasferimento (e quindi l'estensione alla collettività) del "paesaggio dell'anima", sempre caduco, col ricorso a uno strumento espressivo (scrittura, fotografia, pittura, ...). Ovvero: da un lato il dovere istituzionale di proteggere il patrimonio collettivo e dall'altro la possibilità di comunicare la memoria individuale.

Da questo punto di vista, ogni rappresentazione artistica del paesaggio è sempre testimonianza di una risonanza intima: non solo un punto di vista, ma il trasferimento di un'emozione.

Benché le rappresentazioni letterarie del paesaggio abbondino fin dall'antichità (anche nella Bibbia, dove i Salmi si soffermano sulla bellezza del creato) le rappresentazioni pittoriche sono tutte di data piuttosto recente, le prime di esse appartenendo al tardo medioevo. Con qualche eccezione, come in alcuni dipinti delle domus romane, prima di quell'epoca il paesaggio rimaneva sullo sfondo, facendo da cornice passiva al soggetto della pittura (come nei codici medioevali).

Gli storici dell'arte sono concordi nell'affermare che il primo paesaggio che appare in veste da protagonista si trova nel celebre affresco dell’Allegoria ed effetti del buono e cattivo governo che Ambrogio Lorenzetti dipinse nel 1338-39 su commissione delle autorità di Siena, e che testimonia entrambe le grandi categorie del paesaggio urbano e del paesaggio rurale. Ci vorranno quasi cento cinquant'anni prima di incontrare altri paesaggi autonomi: il disegno del Paesaggio con fiume di Leonardo (1473) e soprattutto gli acquerelli che Albrecht Dürer dipinse in patria e durante i suoi viaggi in Italia; ma ormai siamo nel rinascimento. Nei primi anni del 1500 Giorgione dipinge La tempesta, considerato il primo dipinto di paesaggio dove convivono in equilibrio natura, soggetto umani e strutture architettoniche. Con Albrecht Altdorfer il suo Paesaggio con ponte (1518) esplode la stagione europea della pittura di paesaggio, che si estende fino ai nostri giorni ma che non manca di illustri detrattori (Henri de Toulouse-Lautrec rivolgendosi al suo amico Joyant: "Non esiste che la figura, il paesaggio è nulla, non dovrebbe che essere un accessorio. Il paesaggio dovrebbe essere usato solo per rendere più intelligibile il carattere della figura"). Naturalmente ogni epoca e ogni società interpreta il paesaggio con i suoi propri stilemi: classicismo, naturalismo, capricci, surrealismo, astrattismo e via dicendo. Ma ciò che è effettivamente in comune a tutte queste rappresentazioni è che sono sempre e solo non realistiche, e anche quando sembrano fotografiche, come in Vermeer, nel Guardi, nel Canaletto e in molti altri, seguono ideali compositivi rivolti a "migliorare" la realtà o a inserirvi elementi alieni, pensati ma non esistenti. 

In estrema sintesi: ogni rappresentazione del paesaggio è una rappresentazione dell'anima che l'artista ha voluto condividere con i suoi simili. L'artista è dunque il solo genius loci del paesaggio che rappresenta.

nell'immagine: un paesaggio di Georges Seurat

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* oltre all’attaccamento basato sulla memoria, i due ricercatori citano altri quattro elementi di affezione al paesaggio: l’attaccamento estetico, sostanzialmente coincidente con la valutazione del "bel" paesaggio; l’attaccamento funzionale, il paesaggio percepito come possibilità di utilizzo economico; l’attaccamento socioemotivo, legato al contesto sociale percepito entro il paesaggio; l’attaccamento virtuale, tipico di panorami la cui visione intercetta e amplia le credenze del soggetto (immagine del paradiso, ...).
Dal punto di vista dell'estetica, rifacendosi al modello proposto da Steven Kaplan e Rachel Kaplan nel 1989 e ad altri studi di psicologia evoluzionistica, la valutazione del paesaggio viene articolata lungo quattro assi: la coerenza, ovvero la percezione di un intelligent design sottostante un paesaggio;  la leggibilità, cioè la capacità di comunicare caratteristiche distintive; la complessità, ovvero la variabilità degli elementi che compongono il paesaggio; il mistero, cioè la quantità di informazioni che il paesaggio lascia intuire senza mostrarle esplicitamente.
E' bene ricordare che tutte queste considerazioni, così come tutte quelle contenute nel nostro documento, fanno capo alla cosiddetta accezione percettiva del paesaggio, cioè al modo di fruire del paesaggio da parte di un osservatore umano. Accanto a tale definizione ne esiste una scientifica, indipendente dall'osservatore, che nasce verso la fine dell'800 dal naturalista Alexander von Humboldt ed è tuttora fortemente presente, che considera il paesaggio come un insieme di ecosistemi e anzi, il livello più complesso do aggregazione della materia vivente (Carl Troll, 1939)

** il più celebre progetto supernazionale è quello del censimento dei beni patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization). A luglio 2021 erano stati inseriti nella lista 1157 siti, di cui 218 naturali, 900 culturali e 39 misti. Il nostro Paese, che compare nella lista con 58 siti, è la nazione con la maggiore presenza. Non c'è da pensare che vi sia una corrispondenza biunivoca tra i singoli beni e i relativi paesaggi, poiché molti siti sono di carattere transnazionale (ad esempio: "L'opera architettonica di Le Corbusier", che figura nel sito con 17 edifici diversi sparsi su sette Paesi di tre continenti) o immateriali (come "L'arco geodetico di Struve", che celebra il processo di triangolazione svolto tra il 1816 e il 1855 con l'obiettivo di misurare esattamente la lunghezza di un meridiano)

*** al "fascino delle rovine" abbiamo dedicato il calendario del settembre scorso

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