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sabato 30 settembre 2023

Il calendario di ottobre 2023

Uccelli, formiche e robot

E’ arrivato l’autunno e - più che in altre stagioni - possiamo ammirare immensi stormi di uccelli che solcano il cielo. Uno stupore, quello del volo degli uccelli, che ci pervade da sempre: per gli antichi greci, etruschi e romani*, l’ornitomanzia, ovvero l’osservazione del loro comportamento, costituiva una pratica religiosa per trarre vaticini. Anche ai nostri giorni, osservare le incredibili evoluzioni di uno stormo di uccelli, i suoi repentini cambiamenti di forma e dimensione, il suo immediato aggregarsi e disaggregarsi nel cielo, resta affascinante e non c'è chi non si sia chiesto che cosa induce le elegantissime danze dello stormo.

Una risposta parziale a questa domanda la dà l'etologia. Innanzitutto il volare in stormo (che può contenere centinaia di individui, il discorso è identico per i banchi di pesci) è una misura di  sicurezza tipica di uccelli gregari, perché l'eventuale predatore** non è in grado di distinguere e inseguire l'esemplare scelto come vittima, e il cambiamento della forma dello stormo lo confonde ancora di più. Inoltre la direzione dello stormo è dettata dall'osservazione, da parte dei singoli uccelli, del comportamento dei più vicini: i volatili che identificano il predatore mutano per primi la traiettoria, quelli adiacenti li osservano, li seguono e la nuova direzione si estende rapidamente a tutto il gruppo (la velocità di propagazione può arrivare a 40 metri al secondo). Ben poco, invece si conosce sul perché, anche in assenza di predatori, gli stormi mutano forma e densità, sprecando energia: “In assenza di un predatore, credo sia effettivamente possibile considerare queste manifestazioni collettive come una sorta di danza”, afferma la professoressa Charlotte Hemelrijk dell'Università di Groningen. Si tratta dunque di una pura esternazione di joie de vivre e di conferma di appartenenza a una collettività, esattamente come la danza degli umani.

Il caso degli stormi di uccelli conduce a una nozione che sta diventando centrale nello studio dei cosiddetti sistemi complessi, ovvero meccanismi in cui molte variabili sono legate tra loro da relazioni non lineari: si tratta del cosiddetto comportamento emergente (o proprietà emergente), consistente nel fatto che un organismo composto da molti individui uguali mostra proprietà generali che non sono presenti nel singoli individui. Nel caso illustrato, lo stormo, osservato nella sua interezza, presenta un comportamento che non è tipico di alcun uccello che ne fa parte***.

Tra le comunità animali si trovano esempi di proprietà emergenti molto più avanzate di quelle degli stormi di uccelli (in cui è implicata solo l'imitazione della direzione del volo) e che coinvolgono non soltanto tutta la vita dell'animale, ma anche la sua differenziazione morfologica: si tratta dei cosiddetti superorganismi, tipicamente formicai, termitai, alveari e altre organizzazioni in caste (rarissimi sono i superorganismi non afferenti agli insetti: alcuni gamberi e, tra i mammiferi, l' Heterocephalus glaber, una talpa cieca che vive solo in poche caverne africane).

Dal punto di vista etologico il superorganismo rappresenta il più grande successo dell'evoluzione. Il superorganismo non è la formica o l'ape ma è il formicaio o l'alveare, intesi come collettività, come società delle formiche e delle api che vi risiedono. Una tale struttura ha in sé, nel suo complesso, tutte le proprietà degli esseri viventi, come l'omeostasi, cioè la capacità di autoregolazione per far fronte agli eventi esterni, la riproduzione, cioè la capacità di generare copie di sé stessa, e - in definiva - la qualità di ridurre l'entropia, ovvero di generare ordine, che abbiamo visto essere la caratteristica più peculiare della vita (cfr. calendario di aprile 2022). A differenza di molti altri esseri viventi che pure chiamiamo "sociali", una singola formica, un'ape, una termite non possono vivere se vengono allontanate dalle loro sorelle, esattamente come una cellula umana non può vivere esternamente al corpo dell'uomo.

I superorganismi possiedono quella che viene chiamata intelligenza di gruppo (o intelligenza di sciame, swarm intelligence: termine coniato nel 1988 da Gerardo Beni, Susan Hackwood e Jing Wang) per indicare la capacità di un sistema biologico tale che:

1 - ogni individuo possiede abilità limitate ma è in grado di scambiare informazioni con gli altri individui (nessuna formica è particolarmente intelligente, le informazioni vengono trasferite da formica a formica mediante segnali perlopiù chimici);

2 - nessun individuo del sistema conosce interamente il sistema (nessuna ape sa che cosa succede nel resto dell'alveare, conosce solo il suo compito);

3 - non esiste un individuo coordinatore (la regina delle formiche o delle api non ha una maggiore intelligenza e non coordina l'attività delle altre formiche o api, è semplicemente l'organo riproduttivo della colonia);

4 - il sistema si autoorganizza ovvero mostra comportamenti emergenti del tutto ignoti ai suoi singoli componenti ed è in grado di correggere autonomamente i malfunzionamenti.

Affinché il formicaio o l'alveare mantenga la sua organizzazione è necessaria, oltre alla suddivisione in caste ognuna indirizzata verso un'attività specifica, i cui membri differiscono anche morfologicamente per poterla svolgere, una estrema volontà cooperativa da parte dei singoli animali, il che comporta sacrifici: in particolare la gran parte dei membri del superorganismo (in realtà tutti, a parte la regina e i maschi, ma questi ultimi hanno vita brevissima) devono rinunciare alla spinta riproduttiva, ovvero all'elemento basilare della conservazione della specie. In altre parole le formiche e le api operaie devono essere altruiste.

Il presunto altruismo dei membri di un organismo collettivo è stato fonte di estrema preoccupazione per lo stesso Darwin che nel 1859 scrive di “una speciale difficoltà, che mi parve dapprima insuperabile ed effettivamente fatale per l’intera mia teoria. Alludo alle femmine neutre o sterili delle comunità di insetti". Per intravedere la risoluzione di questo problema ci sono voluti più di cento anni e un forte cambio di prospettiva che sostituisce all'evoluzione dell'individuo e alla conservazione della specie quella dei singoli geni. Occorre infatti arrivare al 1976 quando il biologo inglese Richard Dawkins pubblica un saggio dall'accattivante titolo Il gene egoista (The Selfish Gene), in cui sostiene che i geni vengono trasmessi non in funzione della conservazione dell'organismo o della specie ma in funzione della conservazione di sé stessi (in questo senso, e non certo per volontà del singolo gene, esso ci appare come egoista). In altre parole, l'idea darwiniana della competizione tra individui, che porta alla sopravvivenza del più adatto, viene raffinata e portata "più in basso", a livello molecolare, e diventa competizione tra geni. Cosa succede, dunque, in un superorganismo? il cosiddetto altruismo dei soggetti sterili impedisce la spinta riproduttiva agli stessi, ma garantisce, attraverso di essi, il nutrimento e la conservazione dei soggetti che si riprodurranno: l'egoismo del gene si manifesta come altruismo verso i soggetti adatti al trasferimento del gene alle generazioni successive.

Le nozioni di comportamento emergente, di autoorganizzazione e di intelligenza di gruppo, nate dalla biologia, sono state travasate nelle dottrine tecniche, dando luogo a una nuova disciplina (in realtà ancora priva di un nome consolidato) che integra informatica (soprattutto l'intelligenza artificiale), cibernetica, robotica, chimica, ingegneria dei materiali e molto altro. L'idea è questa: anziché le formiche (o le api o le termiti) creiamo una comunità di robot in grado di comunicare tra loro (con impulsi elettrici, magnetici e quant'altro) e dotati di istruzioni sotfware molto semplici (che sono l'equivalente del DNA delle formiche o delle api operaie costituente lo sciame). Se lasciamo lavorare abbastanza a lungo questo sciame di robot, esso potrebbe esibire un comportamento emergente, ovvero manifestare un'attività autonoma, un'intelligenza di gruppo, diversa e maggiore di quella di ciascun robot. Non c'è chi non veda il fascino e i rischi di quest'idea: i nanorobot che da qui a pochi anni potranno essere iniettati nel corpo umano, per trovare, aggredire e demolire formazioni tumorali potrebbero casualmente - perché no? - autoorganizzarsi per riprodursi oppure (non diversamente dalle api, che hanno il pungiglione) per difendersi.

In definitiva, anche se l'uomo, nel suo inesauribile orgoglio, non è ancora riuscito (né forse riuscirà mai - si veda il calendario di maggio 2022) a creare in laboratorio una forma di vita biologica, sta avvicinandosi pericolosamente alla creazione di una vita autonoma di natura meccanica.

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* il contributo dato dalle frotte di storni (Sturnus vulgaris) agli antichi romani viene pagato da quelli contemporanei: chiunque abbia vissuto a Roma nei mesi freddi conosce perfettamente l’altra faccia della medaglia delle loro bellissime coreografie, ovvero le deiezioni (40 gr. al giorno per ogni singolo uccello) che, oltre a minacciare i monumenti storici, colpiscono spietatamente i passanti. Molti romani, in quei giorni, si portano dietro l’ombrello anche se non piove
** a differenza dei predatori terrestri carnivori, che - scelta la vittima, tipicamente l'esemplare più debole o lento - attaccano in branco, gli uccelli predatori (falchi, aquile, rapaci in genere) agiscono da soli o al più in coppia
*** da un altro punto di vista il comportamento emergente può essere visto come un sistema complesso che affiora da poche regole molto semplici. Si veda, in coda al calendario, il Life Game di John Conway.
Il concetto di comportamento emergente non è esclusivo della biologia: il colore e l'attrito, ad esempio, sono qualità emergenti delle particelle elementari (che in sé non hanno colore né presentano forma di attrito). La stessa fisica delle particelle considera la massa, lo spazio, il tempo come proprietà emergenti dalla sottostanti funzioni d'onda messe in luce dalla meccanica quantistica. Un caso molto semplice è la formazione dei cristalli di ghiaccio, sempre differenti l'uno dall'altro quando l'acqua congela.

Vi è anche chi ritiene che la coscienza, questa qualità elusiva che tutti sperimentiamo ma che nessuno è riuscito a definire compiutamente, sia un comportamento emergente. Come scrive il filosofo americano Searle: “La coscienza è una proprietà di un sistema causalmente emergente. In particolare, è una proprietà emergente di determinati sistemi di neuroni nello stesso senso in cui la solidità e la liquidità sono proprietà emergenti di sistemi di molecole: la sua esistenza, di fatto, non può essere spiegata senza fare riferimento alle interazioni causali che, al microlivello, hanno luogo tra i componenti del cervello, né può essere dedotta o calcolata riferendosi unicamente alla struttura fisica dei neuroni“ (John Searle, The Rediscovery of the Mind, 1992)

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