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domenica 31 dicembre 2023

Il calendario di gennaio 2024

Città Metafisiche

Già in passato abbiamo dedicato qualche calendario alla rappresentazione pittorica del paesaggio concludendo che “ogni rappresentazione del paesaggio è una rappresentazione dell'anima” ovvero è una narrazione grafica del rapporto di risonanza intima che si crea tra un frammento di realtà e l’artista che intende rappresentarlo. In particolare abbiamo puntato l’attenzione non sul paesaggio naturale ma sul paesaggio architettonico: una comunità umana crea un manufatto, magari anch’esso dotato di una valenza (o almeno di una pretesa) “artistica”, e un nuovo agente, il pittore, lo raffigura, magari a centinaia di anni di distanza, interpretandolo.

Siamo quindi in presenza di una sorta di passaggio di consegne: il costruttore compie l’opera primaria e il pittore ne dà una chiave di lettura. Al linguaggio del costruttore si sostituisce un nuovo linguaggio, quello della rappresentazione, e non è detto che i due idiomi siano coerenti: una chiesa, edificata in primis a maggior gloria di Dio e a conforto dei fedeli, può venir dipinta in quanto tale, ma anche - secoli dopo la sua costruzione - come testimonianza realistica di come venivano costruite le chiese d’antan, oppure - se la chiesa è caduta in rovina - come segno del passare implacabile del tempo; ed ancora il pittore potrebbe centrare la sua attenzione sulle motivazioni culturali che hanno portato alla costruzione di quella chiesa, sugli aspetti sociali dell’epoca in cui fu costruita, e così via. La rappresentazione è quindi un’espansione dell’oggetto rappresentato, il che porta a concludere che l’arte (in questo caso la pittura) è sempre e comunque un metalinguaggio che arricchisce il linguaggio originale.

Questa scissione tra architettura originale e sua rappresentazione pittorica acquista una forte evidenza nel ‘900, allorché un profluvio di nuove correnti “semifigurative” (cubismo, futurismo, tanto per citarne un paio) conduce a un sempre maggior allontanamento tra l’oggetto e la sua rappresentazione, fino all’astrattismo più spinto, dove talvolta può essere solo il titolo dell’opera a ricordare quale sia l’oggetto ritratto. A loro volta queste correnti pittoriche possono influenzare i nuovi architetti, come di fatto è avvenuto, dando luogo a quella dialettica che costituisce la base dell’arte contemporanea.

In questo contesto assume importanza un movimento artistico tutto italiano, la Pittura Metafisica, che intende rappresentare città ed edifici (ma anche altri soggetti) andando oltre la loro apparenza, estraendone l’essenza, l’anima nascosta, l’idea platonica della casa che si nasconde e plasma tutte le case reali, l’archetipo immateriale e trascendente comune a tutte le case tangibili. “Niente ci può far credere che alcune cose abituali non contengano, virtualmente, una maggiore meravigliosità di quella che alcuni cercano nelle avventure e negli spettacoli più singolari.” (Giovanni Papini, 1906)*

Il grande maestro della Pittura Metafisica è senz’altro Giorgio de Chirico, e l’inizio della Metafisica è fissato, secondo gli storici dell’arte, al 1910, quando De Chirico rilascia la sua opera L'enigma di un pomeriggio d'autunno. Un paio di anni dopo lo stesso De Chirico racconta la genesi del quadro: scrive che si trova in un pomeriggio d’autunno in Piazza Santa Croce a Firenze, si guarda intorno e “Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ed ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile.” De Chirico rimarrà fedele** a questa sua creatura per tutta la vita producendo una serie di opere che seguono ispirazioni comuni: gli Enigmi, le Piazze d’Italia, Metamorphosis, arricchendo progressivamente la scena - che resta comunque silenziosa e sospesa - con altri soggetti: statue, manichini, arredi, persone senza volto, fino a giungere ai celebri cavalli e ai gladiatori***. De Chirico non è solo nel percorrere la via della Pittura Metafisica; sono con lui i pittori Albert Savinio (pseudonimo di Andrea de Chirico, suo fratello), Carlo Carrà, Giorgio Morandi (che cercherà non tanto l’anima degli edifici ma quella di brocche e vasi, la cosiddetta Metafisica still life). Questi i nomi “ufficiali” dei metafisici, ai quali sarebbe doveroso aggiungere almeno Mario Sironi,  che ci ha lasciato, tra gli anni ’20 e ’30, una quantità di paesaggi urbani (con preferenza a quelli industriali) non meno silenziosi di quelli di De Chirico.

Ed ecco che finalmente succede: la Pittura Metafisica, che è soprattutto riproduzione di architetture, partorisce uno stile architettonico. A Milano, al 92 di Corso Venezia, vive Margherita Sarfatti, pargola di una famiglia della ricca borghesia ebraica di Venezia. E’ persona coltissima, di idee socialiste, innamorata dell’arte; intorno a sé crea un salotto dove gli intellettuali si scambiano idee ed esperienze, dove si fondano movimenti artistici (è lì che nasce il Gruppo del Novecento, di cui fa parte anche Mario Sironi). Margherita, anche se in un primo tempo preferirà Carrà, conosce ed apprezza De Chirico. Sullo sfondo vi è il fermento dell’ascesa del Fascismo, che si riflette sull’architettura e l’urbanistica italiana: le costruzioni futuriste stanno lasciando il posto a quelle razionaliste, vissute come “più europee”, Marinetti vorrebbe fondere i due stili in un’unica architettura di matrice autenticamente fascista. Il salotto di Margherita è frequentato anche da Benito Mussolini: di fatto Margherita è la sua musa e ispiratrice (nonché biografa e amante) e lo aiuta a far chiarezza su quello stile con cui il Duce vorrebbe rinnovare l’architettura italiana; i dipinti di Carrà e De Chirico piacciono, sono in sintonia con i nuovi edifici di impronta razionalista che il Fascismo ha già realizzato, come la celebre Casa del Fascio a Como. In breve: la Pittura Metafisica partorisce un’architettura altrettanto metafisica, che caratterizzerà profondamente le nuove costruzioni del Ventennio, riuscendo a sposare con successo anche la tendenza monumentalista del regime (si pensi all’EUR e soprattutto al Palazzo della Civiltà Italiana). Succede così che le cosiddette “città di fondazione” che il regime distribuì a piene mani in Italia (nelle aree bonificate in Lazio, in Sardegna, ma anche ovunque) e nelle colonie sono tutte, più o meno, “città metafisiche”, testimonianze di una storia recente e ancora oggi, poiché l’urbanistica razionalista non era solo devota all’estetica ma anche alla qualità della vita, perfettamente fruibili.

Per finire: ormai sono pochi, oggi, i pittori e gli architetti che si esprimono in modo metafisico (magari facendo un’eccezione per Aldo Rossi), ma è successo un fatto qualificante: la Pittura Metafisica, così potente nel voler indagare l’anima urbana, ha lasciato il posto ad una Fotografia Metafisica, che è ben rappresentata da Gabriele Basilico, Mimmo Jodice e pochi altri.

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* la Pittura Metafisica è un episodio di una vasta trasformazione artistica (e in fondo anche di mercato) nota come ritorno all’ordine, ovvero il rifiuto, espresso da molti artisti alla fine della prima guerra mondiale, degli eccessi delle avanguardie post-impressionistiche (espressionismo, dadaismo, cubismo, futurismo, surrealismo, etc.) che avevano monopolizzato le esposizioni, impedendo di fatto la partecipazione dei pittori più legati alla tradizione. Nata a Parigi, l'esigenza di ritrovare la dimensione figurativa si diffuse rapidamente in tutta Europa. Molti pittori, soprattutto futuristi, saltarono sul carro della controavanguardia e divennero figurativi, ma il fascino del Futurismo restava talmente forte che - nonostante il suo rifiuto - molti dipinti della controavanguardia incorporano elementi di manifesta ascendenza futurista. In Italia il ritorno all’ordine è ben rappresentato dal movimento artistico Novecento: “I novecentisti sono convinti che la forma deve essere semplice e se anche non è reale pure deve essere vera. Precisa e decisa la forma, deciso il colore.” (Margherita Sarfatti). L’aggettivo metafisica fu attribuito alla pittura di De Chirico da Guillaume Apollinaire nel 1913, riprendendolo dai libri di Aristotele successivi a quelli naturalistici (metafisica = al di là della fisica, della realtà percepita)

** talmente fedele da replicare alcune opere del “periodo d’oro” dopo anni, con imbarazzo di critici e storici dell’arte. E’ il caso del dipinto Mistero e malinconia di una strada, fanciulla con cerchio del 1914 che viene (ri)dipinto verso la fine degli anni sessanta con lievi differenze e retrodatato dall’artista al 1948

*** la Pittura Metafisica è talmente caratterizzata da rispondere ad alcuni elementi codificabili: (1) la prospettiva è costruita secondo molteplici punti di fuga incongruenti, in modo da costringere il fruitore a non centrare l’attenzione su un elemento portante; (2) i personaggi umani sono (quasi) assenti, per trasferire il senso della solitudine e del flusso temporale; (3) le ombre sono particolarmente lunghe; (4) non sono presenti riferimenti esterni, il quadro è chiuso in sé, autosufficiente. Usando un termine contemporaneo diremmo che ogni panorama rappresentato dai metafisici è un nonluogo, termine introdotto dall’antropologo francese Marc Augé nel 1992 in contrapposizione al concetto di luogo antropologico e identitario

nell’immagine: Giorgio de Chirico, L’après-midi d’Arianne,1913

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