Il calendario di marzo 2024
Femmes fatales & Dark Ladies
Da quando esiste il mondo, il maschio della specie homo ha sempre avuto timore della femmina, percepita come individuo affine ma sostanzialmente diverso. Le Veneri paleolitiche, antiche di almeno 20.000 anni e diffuse con assoluta omogeneità stilistica dal Mediterraneo alla Siberia, ci mostrano donne con seni e fianchi enormi: sono organi materni, che l’uomo non possiede; le rappresentazioni maschili coeve sono grossolane ma più realistiche. Gli artisti volevano evidenziare lo stupore per tutto ciò di cui il maschio è privo e che nella donna abbonda. Spesso le statuette sono cosparse di ocra rossa: è il sangue del mestruo, che segue la cadenza della luna, e se non compare per dieci fasi lunari il sangue si trasforma nell’acqua che contiene una nuova creatura. La femmina umana è inestricabilmente connessa col sangue, con l’acqua, con la luna.
Col passare del tempo il misterioso potere di generare diventa potere tout-court: potere di dare la vita ma anche di toglierla. Femmine sono le Moire greche (diventate Parche nella cultura romana e Nome nella mitologia scandinava) che stabilivano quanto e come un mortale dovesse vivere; femmine sono le Sirene che attiravano i naviganti e li conducevano alla morte; femmine le Erinni (che a Roma diventeranno le Furie); femmine le Gorgoni. Scrive Omero che perfino Zeus, il più potente di tutti gli dei, temeva Nyx, la dea della notte, la divinità ctonia per eccellenza.
La Bibbia interpreta “Il mostruoso femminile”* diffuso nella cultura euroasiatica dandogli il ruolo di Eva, colei che macchierà per sempre il genere umano col peccato originale, che sporcherà l’uomo di sangue e di oscurità. Nell’Apocalisse compare una donna che “Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: ‘Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra’”. Tommaso d’Aquino, sfiorando l’eresia, scrive che “rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole” (Summa Theologiae, I, 92, 1), anche se ammette, un po’ a malincuore, che anch’essa ha un’anima. Tutta la patristica cristiana è - talvolta violentemente, talvolta con pacatezza - antifemminista. Un bagaglio di disprezzo per mascherare il timore, che non si estingue in epoca moderna: Freud scopre l’invidia del pene, ma Sant’Agostino ne aveva parlato quindici secoli prima.
Buona parte della letteratura ha contribuito a mantenere viva l’ambigua immagine della donna misteriosa, che irretisce il maschio e lo conduce a morte prematura. Salomé, Circe, Medea sono figure mitologiche, Cleopatra Messalina e Mata Hari appartengono alla storia, ma quante altre femmes fatales ha prodotto la letteratura, il teatro, il cinema?
Di che ci stupiamo? il genetista Peter Underhill sostiene che il DNA della donna è più antico di quello dell’uomo, risale a 143.000 anni or sono, mentre il cromosoma Y si è stabilizzato solo 60.000 anni fa. Il cervello femminile è più ricco di connessioni, la sua capacità di affrontare la realtà è più ampia. La Natura e le prime società umane hanno plasmato la donna per partorire e allevare, l’uomo per cacciare ed educare al lavoro. Forse il nostro incipit avrebbe dovuto essere “qualunque maschio di buon senso della specie homo deve aver timore della femmina”, almeno fino a quando l’evoluzione dell’etica non riporti uomini e donne sullo stesso piano, valorizzandone tanto le differenze quanto le caratteristiche comuni.
Se la specie umana ha generato le fammes fatales non poche specie animali hanno prodotto autentiche dark ladies, assetate del sangue (in realtà delle proteine) del proprio partner.
E’ ben noto che alcune specie di mantidi divorano il consorte mentre è intento a fare l’amore. Un comportamento che testimonia il conflitto tra l’obiettivo del maschio, che vorrebbe vivere per assicurarsi una discendenza, e quello della femmina, che cerca il nutrimento più prossimo per allevare la sua cucciolata. L’ambiente gioca un ruolo essenziale: se è ricco di potenziale nutrimento la femmina non divora il maschio, come si osserva nelle mantidi d’allevamento**. In alcuni generi (come Miomantis caffra) solo poco più della metà degli accoppiamenti finisce con l’uccisione del maschio, se questo è abbastanza robusto da lottare con la femmina potrà liberarsi: è una estrema finezza dell’evoluzione: il maschio debole viene divorato subito, quello forte potrà continuare a ingravidare altre femmine cui donerà il suo patrimonio genetico qualificato, finché - prima o poi - finirà come tutti i maschi di mantide.
E’ il cosiddetto cannibalismo nuziale, praticato da molti altri artropodi, tra cui eccellono i ragni.
Il nome comune di Latrodectus mactans è Vedova nera, e già questo lascia supporre che si tratti di un ragno che adotta la pratica di cibarsi del coniuge. In realtà è un nome abusato, perché spesso il maschio disfa previamente una parte della tela su cui avviene l’accoppiamento lasciandosi una via di fuga. In altre specie di ragni il maschio secerne un filo cui aggrapparsi velocemente a fine rapporto. Il maschio di Argiope bruennichi (il cosiddetto ragno vespa) preferisce accoppiarsi quando la femmina è in fase di muta: in questa situazione il 97% dei maschi riesce a scamparla, mentre la quota normale di sopravvivenza non supera il 20%. Infine c’è anche chi è disposto a troncare i suoi genitali (Nephilengys malabarensis) abbandonandoli nel corpo della femmina pur di riuscire a sopravvivere.
Un elemento interessante delle abitudini dei ragni è che - per alcune specie - il corteggiamento determina l’evoluzione del rapporto sessuale. Ad esempio, il maschio di Thanatus fabricii così come molti dei ragni granchio, intrappola la femmina nella sua tela (il cosiddetto bendaggio nuziale) prima di accoppiarsi e la femmina, che pure potrebbe, non se ne libera. Si tratta di un evidente dono nuziale rivolto a carpire la benevolenza del partner. Il dono nuziale (una mosca e più in generale una preda) è la norma nel corteggiamento dei ragni pisauridi. I maschi delle tarantole tamburellano l’orlo della tana della femmina per assicurarsi che sia della stessa specie e che sia disponibile all’amplesso: se lo è risponderà tamburellando a sua volta***.
Per rimanere vicino ai ragni ricordiamo che anche tra gli scorpioni esiste il cannibalismo sessuale, sebbene meno diffuso, ma moderato dal sexual sting: il maschio punge la femmina debolmente, ma in misura sufficiente per ridurne l’aggressività e prendersi il tempo per fuggire.
Tra gli organismi superiori un caso recentemente venuto alla luce è quello del polpo (Octopus vulgaris), la cui femmina strangola il maschio (generalmente di maggiori dimensioni) dopo l’accoppiamento e poi se ne ciba. Non esiste accordo sull’interpretazione di questo fenomeno, ma è tutto il modello riproduttivo del polpo che dovrà essere approfondito: dopo la deposizione delle uova la madre le sorveglia fino alla schiusa perdendo gran parte del suo peso e in seguito muore, talvolta automutilandosi, altro fenomeno di cui sono ignoti i motivi.
Chi ritenesse orrende queste pratiche deve accettare una volta per tutte che Madre Natura non è mai crudele, è solo efficiente, privilegia la la specie all’individuo, antepone sempre i figli ai genitori, e anche quando questi sembrano sacrificarsi per generosità (come nei ragni e negli insetti che praticano la matrifagia, ovvero il fenomeno per cui i piccoli si nutrono del corpo della madre) si tratta sempre e solo di efficienza: se questa viene meno, la specie si estingue. Il resto è solo sovrastruttura, favole umane: come scrive Dante lasciando intendere che il conte Ugolino della Gherardesca si ciberà del cadavere dei suoi figli “Poscia, più che il dolor, poté il digiuno” (Inferno, canto XXXIII).
_____________________ * è questo, nella traduzione italiana, il titolo di un recente saggio della scrittrice femminista Jude Doyle (Dead Blondes and Bad Mothers: Monstrosity, Patriarchy, and the Fear of Female Power, 2019), che attribuisce alla paura della donna la tendenza a commettere atti di violenza “Il terrore delle donne è forse la più importante verità dietro la misoginia. Del resto una gabbia ha due scopi. Il primo è di confinare, tenere in trappola, impedirci di fare incursioni nel loro territorio e di impadronirci di ciò che reputano proprio e che se sei maschio è più facile ottenere: il lavoro, i soldi e il rispetto. Ma il secondo scopo di una gabbia, il più interessante, è quello di proteggere il mondo circostante da ciò che è rinchiuso dentro: la gabbia esiste per evitare che le donne ne escano fuori.” ** ebbene, sì. Alcuni desiderano tenersi in casa la mantide anziché il gattino o il cagnolino. A differenza di questi la mantide non è molto affettuosa (eccetto verso il marito), ma può difendere i giardino da non pochi parassiti, anche se non mancano coloro che mantengono la mantide sulle piante da appartamento. L’allevamento e la vendita delle mantidi è un buon affare commerciale: una ooteca (sacco di uova deposto dalla femmina) può contenere fino a 200 piccoli, che non richiedono particolari cure (a parte la nutrizione) durante la crescita; un individuo adulto viene venduto, in Internet, a prezzi variabili da 10 a 50 euro a seconda del genere (in Italia sono presenti circa una decina di generi diversi)
*** sono stati proposti vari modelli per spiegare il cannibalismo sessuale (e il cannibalismo tout court) dei ragni: la teoria dell’investimento paterno, secondo la quale il vantaggio del maschio divorato sarebbe quello di ottenere una prole di maggior successo; la teoria dell’aggressive spillover, per la quale il cannibalismo sessuale sarebbe un comportamento ereditato dall’infanzia (durante la quale femmine più aggressive hanno un successo maggiore nella caccia ed hanno più chances di sopravvivere) e protratto nello stato adulto; la teoria del comportamento adattivo ovvero le femmine sono in grado di valutare la possibilità di uccidere un maschio (e successivamente nutrirsene) piuttosto che di utilizzarlo a scopo riproduttivo. Ma nessuno di essi è condiviso da tutti i ricercatori. Il fatto è che i ragni sono presenti sul pianeta da 400 milioni di anni, comprendono 50.000 specie ovunque diffuse: la loro antichità e la capacità di adattarsi a tutti gli ambienti hanno generato comportamenti estremamente differenziati, tanto come stili di vita quanto come modelli riproduttivi. Tuttavia una cose è certa: in tutti i generi di Araneae il maschio è più piccolo della femmina, ma in quelli in cui è piccolissimo il cannibalismo nuziale è ben poco diffuso, perché il vantaggio nutritivo della femmina nel divorare il maschio sarebbe quasi nullo
nell’immagine: Venere di Willendorf, 25.000 a.C. |