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mercoledì 31 luglio 2024

Il calendario di agosto 2024

Balene

La dimensione delle balene ha impressionato l’uomo fin dall’antichità, e fu proprio la dimensione che consentì a questi cetacei una vita relativamente tranquilla per un lungo periodo di tempo.

Per molti anni la balena rimase soltanto un grande pesce, misterioso e aggressivo. Sarà il solito Aristotele che distinguerà i cetacei dai pesci, ipotizzando che fossero animali che potevano respirare sia acqua che aria; Plinio il Vecchio, che conosceva bene i delfini e le orche ma probabilmente aveva visto solo la coda di qualche balena del Mediterraneo, nella sua Naturalis Historia del 77 d.C., ne esagera la dimensione scrivendo che “nel mare Indiano esistono molti e grandissimi animali, tra cui balene di quattro jugeri”, ovvero una superficie di circa un ettaro. Possiamo giustificare le approssimazioni di entrambi i naturalisti, tanto più che all’epoca erano diffuse leggende dell’esistenza di un mostro marino grande come un’isola* su cui sorgevano perfino foreste: i naviganti che vi sbarcavano perivano regolarmente quando il mostro si immergeva. La Bibbia, la cui redazione precede i nostri due, non parla di balene ma sostiene l’esistenza di creature oceaniche che fanno parte dell’originale atto creativo: il profeta Giona è inghiottito dal solito grande pesce, dove sta tre giorni e tre notti; il Leviatano, che appare in Giobbe, Isaia a altrove, è un serpente (di derivazione mesopotamica) o forse un drago.

In realtà è il termine Balena ad essere ambiguo. Il latino ballaena forse discende dal greco phallaina o phalla (da cui anche l’inglese whale), generica creatura marina. Solo verso la fine del ‘700 viene ripreso il termine ketos (cetaceo, già usato da Aristotele) e viene formalizzata la distinzione tra Mysticeti, cetacei dotati di fanoni (strutture adatte a filtrare il plancton) e Odontoceti, cetacei dotati di denti. Avere o non avere i denti determina il comportamento e lo stile di vita: i mysticeti (megattere e balenottere) non cacciano, viceversa gli odontoceti sono predatori; talvolta predatori temibili, come i capodogli e le orche. Entrambi i gruppi vantano un primato: il capodoglio è il più grande predatore esistente sulla faccia della Terra, la balenottera azzurra è il più grande animale esistente**. Tutti hanno un antenato in comune, il Pakicetus, un piccolo mammifero terrestre che un cinquanta milioni di anni fa cominciò a frequentare con successo l’ambiente acquatico: quelli che rimasero più attaccati alla terra alla lunga diventarono ippopotami (che comunque amano l’acqua), quelli che impararono a immergersi plasmarono le zampe per migliorare il nuoto e si dotarono di pinne per accelerare il moto (pinne caudali) e migliorare l’equilibrio (pinna dorsale), al naso sostituirono lo sfiatatoio, persero le orecchie esterne ma svilupparono la capacità di individuare le sorgenti sonore subacquee, scoprirono il sonar ben prima che qualcuno lo installasse sui sottomarini.

Spaventato dalle sue dimensioni, per molti secoli l’uomo lasciò relativamente in pace le balene, tuttavia non disdegnando di nutrirsi della carne degli animali arenati. Si sa che gli Eschimesi riuscivano a catturare piccoli cetacei che navigavano in acque costiere, interponendo delle canoe tra la preda e il mare aperto e spaventandola con rumore e lance (forse avvelenate): gli animali così catturati erano parte indispensabile alla loro alimentazione e ad altre attività umane.

Nel IX secolo i Baschi del golfo di Biscaglia trasformano la caccia in senso industriale: si spingono fino all’Irlanda e alle isole Faeröer, armano vascelli con marinai normanni, tengono per sé le attività specialistiche (avvistamento, arpionamento, macellazione, salatura, conservazione e raffinazione del grasso), esportano la carne di balena in tutta Europa. Su questa base sviluppano una ricca economia, tant’è che a metà del XVI secolo possiedono una flotta di una trentina di navi localizzata sulle coste del Labrador con più di duemila uomini di equipaggio: non si tratta ormai più di barchette concepite per l’inseguimento a partire dalla terraferma, ma di veri e propri velieri destinati a restare per lunghi periodi in mare aperto. Il business fa gola anche ad altri: inglesi e olandesi pagano profumatamente il personale basco per apprendere la tecnica della caccia e della conservazione della carne, gli olandesi aprono un grande centro industriale e commerciale sulle Svalbard con migliaia di addetti. I Baschi perdono progressivamente il loro primato, soprattutto a causa di un evento sanguinoso: lo Spánverjavígin (ovvero il “massacro degli spagnoli”), la condanna a morte decretata nel 1615, sulla base di una antica legge dell’isola, dagli islandesi a danno dei cacciatori baschi approdati in Islanda (da allora tutti i baschi furono considerati criminali per la legge islandese, una norma che venne abrogata solo nel 2015).

Nel 1778 si chiude l’epoca di caccia degli olandesi che in poco più di un secolo hanno ucciso circa 65.000 esemplari, e l’industria delle balene si sposta agli stati costieri della Nuova Inghilterra. La crescita tumultuosa degli Stati Uniti porta a un’accelerazione della domanda di derivati delle balene: praticamente tutta l’illuminazione domestica e in alcuni centri anche pubblica avviene bruciando olio di balena, tutti i motori vengono lubrificati con olio di balena***. La domanda è tale che i cacciatori si avventurano oltre l’Oceano Atlantico, nel 1789 la prima baleniera doppia Capo Horn e apre la caccia nel Pacifico meridionale. L’isola di Nantucket diviene la capitale della caccia alle balene, in seguito rimpiazzata dalla città costiera di New Bedfortd, che nel 1857, grazie all’industria baleniera, acquista la fama di essere la città USA con maggior reddito procapite. Alla crescita della domanda corrisponde anche l’evoluzione della tecnologia: gli sloop della fine del ‘700 vengono progressivamente sostituiti da velieri a tre alberi, di stazza fino a 400 tonnellate e in grado di rimanere in mare fino a 4 anni per compiere una circumnavigazione completa del globo.

Per quanto deprecabile la caccia alle balene ha conservato, fino a questo periodo, qualcosa di romantico e dignitoso: gli arpionatori sfidano la balena su piccole lance, che un colpo di coda può distruggere. E’ una sorta di corpo a corpo, molti muoiono o vengono menomati, nascono leggende. Ma, a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo, i velieri vengono progressivamente sostituiti dalle baleniere a vapore e le stazioni baleniere, dove avveniva la lavorazione degli animali catturati, sono abbandonate e rimpiazzate da navi officina in grado di lavorare le carcasse in mare: il modello organizzativo di Taylor e Ford si estende anche sul mare.

Si corre verso l’epilogo: alla fine dell’800, quando ci si cominciò a rendere conto del decremento del numero delle prede, l’invenzione del cherosene (ottenuto dalla raffinazione del petrolio, molto più economico come fonte di illuminazione, seguita da quella della lampadina elettrica) rallentò la caccia, che riprese con forza in corrispondenza del primo conflitto mondiale per l’aumentata richiesta di glicerina utilizzata per la fabbricazione degli esplosivi. Tra le due guerre mondiali furono uccisi 50.000 esemplari all’anno finché nel 1946 fu istituita la Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC, International Whaling Commission) con l’obiettivo di regolare la caccia e preservare le balene. Le varie moratorie decretate dall’IWC (che consentiva comunque la caccia aborigena di sussistenza) sono state raramente rispettate dagli stessi paesi membri, soprattutto dal Giappone, spesso con motivazioni fittizie. La creazione dei Santuari dei Cetacei, tra cui un’area di 50 milioni di kmq intorno all’Antartide e le azioni intraprese da Green Peace portarono a conoscenza del vasto pubblico la situazione, aumentando la sensibilità e l’interesse per le balene, sicché anche i Paesi più reprobi stanno lentamente scoprendo che la diffusione del turismo orientato al whale watiching può essere più redditizia della caccia.

La balena ha lasciato dietro di sé una traccia importante nello sviluppo della letteratura e delle arti visuali. Tuttavia è rara, fino ai nostri giorni, la rappresentazione della balena in quanto animale tout-court. Nell’antichità, a parte le approssimative citazioni bibliche, la balena tende a essere sconosciuta o ignorata, mascherata sotto le specie dil “grande pesce”: non se ne trovano nelle domus romane, dove pure abbondano mosaici di delfini e pesci, benché vi sia chi sostiene che gli abitanti delle coste delle provincie iberiche del secondo secolo praticassero la caccia alla balena. Le cose cambiano con l’avvento del Cristianesimo, ma le rappresentazioni restano confinate alla vicenda di Giona e alla cronaca dell’abate Brandano, che si prolungheranno fino al Rinascimento, oppure a testimonianze dello stupore che gli indigeni provano di fronte a balene e capodogli spiaggiati. Paradossalmente la balena diventa una ricercata modella con l’avvento della caccia e infine, ma solo in questi ultimi anni, mano a mano che si perde il ricordo della conflittualità con l’uomo, un animale amato per la sua intima natura.

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* è una leggenda diffusa nella mitologia norrena così come in quella mediterranea (nelle storie di Sindab). L’isola è di volta in volta una balena o una tartaruga o comunque un gigantesco animale acquatico. Onestamente lo zoologo arabo Al-Jahiz, nel suo Libro degli animali, IX secolo, scrive: “Per quanto concerne lo Zaratan [Zaratan o Aspidochelone è il nome attribuito all’isola vivente] non ho mai incontrato nessuno che l'abbia visto con i propri occhi. Questo supera persino la più coraggiosa e fantasiosa delle finzioni”. Tuttavia questo strano animale era ormai stato acquisito nei bestiari fantastici medioevali, ingordi di tutte le possibili stranezze, e passò tale e quale nella cristianissima cronaca della Navigatio sancti Brendani, del X secolo, contenente le avventure dell’abate irlandese Brandano che esplorò i mari del Nord alla ricerca del Paradiso Terrestre
** la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) ha una lunghezza che arriva a 28 metri e un peso di 180 tonnellate. Non solo è l’animale più grande esistente, ma probabilmente il più grande mai esistito sul Pianeta (un intero elefante potrebbe entrare nella sua bocca). Il capodoglio (Physeter macrocephalus) è più piccolo, può arrivare a 20 metri di lunghezza, ma è un vero campione di apnea: può superare i 2000 metri di profondità e mantenersi sott’acqua per oltre due ore
*** oltre alla carne (ancora oggi largamente consumata in Giappone e Norvegia) e all’olio combustibile, l’impiego dei derivati delle balene era vastissimo. Le ossa (soprattutto i fanoni) costituivano, per la loro elasticità, una vera e propria materia plastica ante litteram, usata tanto negli accessori di abbigliamento quanto nella meccanica fine. Il grasso era la base per la produzione di candele, sapone, glicerina, cosmetici e (in tempi più recenti) margarina. Al grasso dei mistyceti (costituito solo da trigliceridi) veniva preferito quello dei capodogli, che bruciava con meno fumo. Sia ben chiaro: il grasso e l’olio di balena, insieme a quelli di foca e altri animali, sono utilizzati (con auspicabile orrore da parte degli animalisti) ancora oggi: in Internet si trovano una quantità di offerte! Con i denti dei cetacei venivano prodotti manufatti di qualità artistica, i denti potevano sostituire l’avorio, più costoso, per modellare pezzi degli scacchi o tasti bianchi del pianoforte. Ma il prodotto di maggior valore era (ed è ancora) l’ambra grigia, che non deriva dalla macellazione ma è espulsa dai capodogli nelle feci o rigurgitata, restando a galleggiare nell’acqua marina: si tratta sostanzialmente di un feromone tuttora insostituibile nella produzione di profumi. Il suo valore di mercato si aggira sui 50.000 dollari al chilo

nell’immagine: Johnson's household book of nature, plate XXIX , 1880

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