Il calendario di febbraio 2024
La specie homo in bilico tra utopia e distopia
Una delle qualità possedute in forma probabilmente esclusiva dalla specie homo è quella di preoccuparsi del futuro, non solo di quello del singolo (cosa comune a tutti gli esseri viventi) ma del futuro di tutta la collettività umana e animale. E' la base di un vera e propria disciplina, al confine con la sociologia, che indaga la relazione tra la politica (che, come scrive Aristotele, è "l’insieme di mezzi che permettono [al governo] di ottenere gli effetti voluti") e gli altri àmbiti della vita. Se, per sua propria natura, la politica, in quanto tale, deve essere priva di morale (Il Principe, sostiene Machiavelli, non deve temere di compiere crimini, purché i suoi sudditi vivano bene), la filosofia politica è il tentativo culturale di riportare la politica lungo i binari dell’etica.
E’ nell’ambito della filosofia politica che nascono due modelli specifici di società proiettata nel futuro come conseguenza delle scelte politiche del presente: l’Utopia e la Distopia. Entrambi scenari talmente affascinanti da aver generato una vasta letteratura, che non può essere altro che narrativa di anticipazione*, che ci mostra che cosa potrebbe accadere alla società umana in un futuro più meno lontano. In realtà, benché questi due termini vengano usati spesso in contrapposizione l’uno all’altro, non si tratta di un antagonismo perfetto: l’utopia resta più confinata nell’àmbito della filosofia, resta un’ipotesi, una questione a tendere, mentre la narrazione distopica è più concreta, sempre connessa con la realtà. L’utopia implica tensione verso un risultato che per certo non si realizzerà**, la distopia è sempre pragmatica, la distopia è un risultato (e spesso, se vogliamo, la distopia è l’utopia realizzata, come sostengono alcuni esponenti della filosofia politica contemporanea).
L’utopia ci presenta una società (e un modo di vivere) che viene proposto come modello positivo.
L’isola di Atlantide descritta da Platone nel Timeo (ricca, potente, governata da saggi che fanno proprie le decisioni del popolo, feconda di prodotti della terra, popolata da cittadini sobri e virtuosi) è la prima utopia che la storia della filosofia ci presenta. Sempre che sia esistita, Atlantide era scomparsa qualche migliaio di anni prima di Platone, che utilizza questo mito per illustrare la purezza dell’Atene originaria in contrapposizione con quella della sua epoca (più o meno 350 a.C.), che egli riteneva profondamente corrotta (e non a caso Poseidone, deluso dalla cupidigia a cui si erano abbandonati suoi abitanti, sprofonda Atlantide “in un solo giorno e notte di disgrazia"). Il mito fu ripreso più volte in epoca moderna, conservandone la natura utopica ma cercando di individuare (invano) la posizione geografica dell’isola.
Nel corso del tempo altre narrazioni utopistiche sono state prodotte, ambientandole qua e là sul Pianeta, anche nell’ambito della letteratura mainstream (si pensi a Il gioco delle perle di vetro, di Hermann Hesse, 1943), ma - come ci si può immaginare - queste utopie sono sempre piuttosto stereotipe: pace e uguaglianza sociale, liberazione dalle malattie, dalla morte, dalle schiavitù del lavoro e del denaro, realizzazione individuale, spazio per l’esercizio delle arti, democrazia reale e così via.
A mano a mano che ci si avvicina all’epoca contemporanea, la letteratura utopica cede progressivamente il posto a quella distopica: il mito della società perfetta e irraggiungibile cede il passo alla narrazione di una società ampiamente imperfetta ma certamente prossima a venire. Ogni distopia è quindi un avvertimento: lo scrittore di anticipazione percepisce gli elementi negativi del mondo in cui vive e li proietta nel futuro (che molto spesso è un futuro prossimo) mostrandone il possibile sviluppo.
Nella massima parte delle narrazioni distopiche*** vengono descritte alcune caratteristiche della società a venire, che potremmo riassumere, in base alla loro frequenza nelle trame letterarie, nelle seguenti:
1. la concentrazione del potere nelle mani di un solo individuo o di una cosca di pochi soggetti. Di conseguenza l’abbattimento di qualunque forma di governo democratico e l’eliminazione delle barriere tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario; 2. la soppressione degli stati nazionali a favore di corporazioni private (tipicamente, ma non solo, grandi imprese multinazionali) o organismi supernazionali; 3. la soppressione delle culture nazionali, che passa attraverso la revisione della Storia insegnata nelle scuole, la distruzione di monumenti ed altri elementi simbolici di periodi passati; 4. la censura dell’informazione: il potere s'impossessa di tutti i media, che devono allinearsi all’ideologia imposta dall’alto e proporre solo notizie coerenti con tale ideologia. I libri, i film, le opere d’arte in contrasto con le idee dominanti vengono distrutti (il rogo dei libri è un autentico classico). La verità diventa "liquida", indistinguibile dalla menzogna; 5. la divisione della popolazione in caste rigide: differenze di diritti, di reddito, di stile di vita. Tali differenze sono stabili nel tempo, ogni individuo nasce e vive in una casta e non potrà mai uscirne (è la negazione del mito americano del self made man); 6. il controllo dei comportamenti individuali, che devono uniformarsi a rigide norme (che vanno dall’abbigliamento al taglio dei capelli al modo di salutarsi alle tipologie di consumo). E’ premiato il conformismo: ogni dissenso, iniziativa personale, originalità è punita. L’eliminazione del denaro contante e della proprietà privata compaiono spesso come strumenti di spersonalizzazione fisica del cittadino; 7. il controllo delle coscienze, la spersonalizzazione morale dell’individuo. E’, probabilmente, l’elemento più caratteristico delle distopie perché, mentre tutti i risultati precedenti si possono imporre con la forza, la società distopica deve entrare nella mente del singolo. La società distopica non vuole apparire come una tirannia, ma come una società apprezzata e condivisa dai suoi membri. Il tipico strumento è l’adozione progressiva di forme di pensiero unico, che sfocia nello messa a punto di un vocabolario in cui sono state eliminate le parole che possono contrastare con tale pensiero. In sintesi, dopo migliaia di anni che il serpente biblico l’ha donato all’essere umano, la distopia cancella il libero arbitrio; 8. l’eliminazione dell’istituto della famiglia rimpiazzato di volta in volta dall'incitamento alla promiscuità, dall'affidamento della crescita dei pargoli al governo ma anche da rigore puritano; 9. talvolta il potere genera al proprio interno un gruppo di dissenso vuoi per fungere da valvola di sfogo vuoi per giustificare la persecuzione dei “diversi”.
Non è certamente questa la sede dove proporre una disamina della vasta letteratura (per non parlare poi della ancora più imponente filmografia) dedicata alle distopie, ma in coda al calendario è possibile trovare una piccola selezione emblematica della narrativa di settore, opere ben note nelle quali si incontrano molte delle caratteristiche precedenti. Il Lettore che volesse sfogliare tali romanzi o almeno leggerne il brevissimo sunto in allegato potrebbe scoprire, solo guardandosi intorno, quanto la nostra società sia pericolosamente vicina a realizzare l'una o l'altra delle distopie illustrate. Ricordiamolo: gli scrittori di anticipazione raramente hanno sbagliato le loro previsioni!
La domanda con cui vogliamo chiudere questo calendario è ovviamente la seguente: possiamo resistere alla trasformazione della nostra società civile in una distopia? e come? non abbiamo una risposta, ma ci sembra che già il parlarne, il divulgare l'idea di quanto ci troviamo vicini al rischio di cadere in una società distopica (rischio ben maggiore del cambiamento climatico o di una nuova epidemia di cui il potete va cianciando) può costituire un passo sulla strada della resistenza.
____________________________ * preferiamo questa dizione rispetto al più utilizzato termine fantascienza (SF, science fiction) che propone già nel nome possibili futuri conseguenti alle scopette scientifiche e allo sviluppo tecnologico. A partire dalla metà degli anni ’60 alcuni autori di SF decisero di abbandonare le narrazioni classiche (viaggi stellari, mondi sconosciuti, incontri con gli alieni e quant’altro) per dedicarsi a sviluppare temi al cui centro posero la società e l’uomo contemporaneo, immaginandone il futuro (così a breve come a lungo termine) in base ai “sintomi” osservati nel presente. Questa corrente letteraria prese il nome di New Wave e - per l’eccellenza di autori e testi - consentì alla SF di affrancarsi dal ghetto della letteratura di genere in cui era da sempre confinata e di essere riconosciuta come narrativa mainstream ** l’impossibilità di realizzare l’utopia è già presente nello stesso termine, inventato da Tommaso Moro, che, in un suo libro del 1516, ribattezza l’isola platonica di Atlantide col nome di Utopia, dal greco: ou ("non") e tópos ("luogo”), ovvero “nessun luogo”, e ce ne presenta le virtù contrapponendole alla decadenza dell’Inghilterra dei suoi tempi, ma con la consapevolezza che l’utopia non è realizzabile (né più né meno di quanto fa Platone ponendo a confronto la civiltà dell'utopica Atlantide con quella dell’Atene dei suoi tempi) *** in questa sede escluderemo il vasto filone della letteratura distopica cosiddetto postapocalittico, ovvero l’analisi delle società sopravvissute a un qualche cataclisma (nucleare, climatico, sociale, sanitario, etc.) poiché si tratta più di letteratura avventurosa che di critica sociale. Escluderemo altresì la vasta letteratura ucronica, ovvero quella che ci presenta società contemporanee (o quasi) provenienti da fatti storici diversi da quelli reali, tipicamente lo stato attuale del Pianeta nel caso in cui la Germania avesse vinto la seconda guerra mondiale |